Marco Meneguzzo: En el signo y en la luz 2012
Marco Meneguzzo: Il paradosso della superficie
Emanuela Fiorelli & Paolo Radi sono una “coppia artistica” o vanno considerati artisti da prendere singo-larmente? Artisti singoli, ci dice la loro storia, la loro intenzione e, soprattutto, il loro lavoro, che non è con-fondibile né nell’ideazione né nella realizzazione formale: Radi è quello dell’apparizione, dell’affioramento, Fiorelli quella della struttura e della costruzione. Fin qui la scarna identificazione tanto utile al pubblico e al collezionista, che necessitano di una specie di “brand” formale per collocare ogni singolo artista in una loro possibile categoria. Il critico ha altri compiti, nonostante l’etimo che lo collocherebbe così vicino a questa operazione ( il nome, infatti, deriva dal sostantivo greco che significa “dividere”...): incapace di una brutalità così efficace e inappellabile – che nel nostro caso potrebbe essere ancora più cruda:
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Radi quello bianco lattiginoso quasi estroflesso, Fiorelli quella degli intrecci tridimensionali di fili... -, egli ha il compito di collo-care ogni artista in un sistema di relazioni più ampio, sistematico quanto alle idee piuttosto che alle forme, e verificato anche sulla scorta della rispondenza a un “mainstream” artistico o viceversa per il suo distac-carsene. In una parola, al critico si chiede di contestualizzare l’artista, utilizzando – una volta chiarita quella prima grossolana definizione – tutta la complessità storica, sociale, psicologica che si può estrarre da quell’opera, senza escludere nulla che possa rendere unica e contemporaneamente plurale quel pensiero, quell’azione, quella forma. E poiché oggi, nella considerazione di un lavoro, il “sapere” vale quasi quanto il “vedere” (a volte anche molto di più), sapere che una relazione di vita lega Fiorelli a Radi induce a guarda-re il loro lavoro anche come prodotto di un legame che diventa, per amore o per forza, una corrispondenza intellettuale, un rapporto imprescindibile attraverso cui guardare i loro lavori, specialmente se presentati – come in questa occasione – insieme, e poco importa anche che essi li abbiano elaborati prima del loro in-contro, come di fatto è stato: il lavoro d’arte cambia continuamente i parametri con cui viene visto e consi-derato, anche se formalmente resta identico a se stesso, e la “comparazione” è un metodo critico che, quando se ne può cogliere la possibilità come in questo caso, costituisce per lo scrittore un invito cui non si sa rinunciare.
Dalle categorie più ampie, allora, alle più delineate e delimitate, allora. Fiorelli è razionale, Radi sensibilista (forse l’arte è l’unica disciplina in cui il contrario di “razionale” potrebbe anche non essere “sentimenta-le”...). L’“oggetto”di Fiorelli si individua subito, quello di Radi mai. Da una parte, cioè, esso si manifesta, esce allo scoperto, viene configurato – anzi, si configura quasi da sé – in un modo che sfugge persino al controllo iniziale del rettangolo convenzionale della tela o della tavola, per occupare lo spazio; dall’altro si intuisce al di sotto di una pelle, come qualcosa che si va formando ma della cui forma non siamo ancora sicuri, e che preme su quella membrana superficiale pur sapendo che non riuscirà mai a sfondarla. Ma, in due aspetti così diversi, dove si può situare la comparazione, che ha bisogno di un minimo comun denomi-natore per poter innescare il meccanismo così simile a un metronomo che prende la propria carica per per-correre un arco che ne porta il pendolo dall’altra parte proprio dall’essere all’opposto di quella posizione? Eliminata una volta per tutte la parola “astrazione” – che non vogliamo e non possiamo più pronunciare, neppure aggiunta di qualsiasi aggettivazione (analitica, lirica, eccetera...), pena l’essere considerati passa-tisti irriducibili -, e che pure risultava troppo vaga come definizione comune, ciò che rimane – ma non è af-fatto poco! – è quella sottile pellicola che non è se non lo stato fisico della “superficie”.
Di qui o di là. In Fiorelli e in Radi il mondo è suddiviso dalla superficie, quasi si fossero divisi l’ambito del vi-sibile in modo da non darsi mai fastidio e da essere felici: è chiaro poi che questa divisione del mondo non è stata una decisione, ma una semplice constatazione, un risultato di fatto, ma non è criticamente indiffe-rente (per tutto ciò che si è detto sulla contestualizzazione delle opere) che una coppia nella vita si trovi a condividere uno stesso mondo linguistico, ma al contempo si limiti – per così dire – a un luogo che non sa-rà mai – o che per lo meno non è mai stato sinora – il luogo dell’altro, pour essendo il luogo fondamentale per chi affronta il loro tipo di ricerca estetica. In questo duplice caso, allora, la superficie dimostra tutta la sua essenziale importanza, anche dopo decenni di analisi, di uso, di violenza nei suoi confronti, operati da artisti, agguerritissimi e decisi, di tutto il mondo: essa continua a scandire il limite, come nell’arte antica, come sempre...
In Fiorelli tutto parte da lì, in Radi tutto arriva lì, e la superficie si offre a loro – e a noi – con tutte le sue po-tenzialità espressive, concettuali e – soprattutto nel caso di Radi – fisiche. E’ la superficie che rende opaca la forma che preme per uscire, ed è sempre la superficie che rende smagliante nella sua chiarezza la co-struzione che in certi casi sembra addirittura ignorarla. Semmai, i due artisti (ed è la loro vicinanza, ricor-diamolo, che rende ancora più evidente la duttilità di questo elemento), aggiungono qualcosa a quel “punto e linea sulla superficie” di cui si discute ormai da cento anni: c’è infatti in loro una tale pregnanza nel mo-strare un “dietro” la superficie e un “oltre” la superficie che non solo se ne rafforza la presenza fisica, ma se ne allargano i confini concettuali andando a costruire un luogo che paradossalmente, da quella che per ec-cellenza è la figura geometrica della bidimensionalità, genera una propria “atmosfera” pulsante, a tre di-mensioni.
alcune opere esposte